May 9th, 2025
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La Federal Reserve ha lasciato invariato il proprio tasso di interesse principale, sfidando le esortazioni del Presidente Donald Trump a mitigarne i costi, e ha segnalato un incremento dei rischi sia di un'impennata della disoccupazione sia di un'escalation inflazionistica – un binomio inusuale che pone la banca centrale in una situazione intricata.
La Federal Reserve ha reiterato il suo orientamento di politica monetaria mantenendo invariato il tasso di riferimento al 4,3% per il terzo vertice consecutivo, in seguito a una serie di tre riduzioni sequenziali attuate verso la fine dell'anno precedente. Sebbene un consensus di economisti e operatori finanziari di Wall Street anticipi ancora un'attenuazione dei tassi nel corso dell'anno, l'imposizione di tariffe pervasive sotto l'amministrazione Trump ha infuso un grado di incertezza considerevole nell'ecosistema economico statunitense e nell'articolazione della politica monetaria da parte dell'istituto centrale.
Nel corso di una conferenza stampa successiva all'emanazione della dichiarazione di politica, il presidente Jerome Powell ha rimarcato come le tariffe abbiano attenuato il sentiment di consumatori e imprese, pur non avendo ancora palesemente pregiudicato l'economia; al momento, ha asserito Powell, sussiste un'eccessiva indeterminatezza per statuire come la Fed debba reagire alle misure tariffarie.
Qualora i considerevoli rincari tariffari preannunciati dovessero mantenersi, è verosimile che inneschino una recrudescenza inflazionistica, un'attenuazione della congiuntura economica e un'escalation della disoccupazione", ha asserito Powell. Le ripercussioni potrebbero essere contingenti o, come ha ulterioremente esplicitato, più durevoli.
È atipico per la Federal Reserve confrontarsi con l'eventualità che la minaccia di prezzi maggiorati coesista con un'impennata della disoccupazione. Di norma, un'inflazione rampante si manifesta allorquando i consumatori elargiscono denaro copiosamente e le aziende, inibite dalla piena soddisfazione della domanda eccedente, optano piuttosto per un rincaro, come osservato post-pandemia. Parallelamente, un aumento della disoccupazione si verifica in un contesto economico più languido, il quale, di prassi, riduce il ritmo delle spese e attenua la pressione inflazionistica.
Una congerie di disoccupazione esacerbata e inflazione galoppante è usualmente stigmatizzata come "stagflazione", incutendo un timore reverenziale nei banchieri centrali, dato che appare ostico per loro attingere a strategie che possano simultaneamente lenire entrambi i mali, un fenomeno che ha manifestato la sua virulenza in modo sostenuto l'ultima volta in occasione degli shock petroliferi e delle recessioni che hanno attanagliato gli anni '70.
Eppure, il consenso tra gli economisti è che l'estensione della portata delle tariffe trumpiane prospetta una minaccia tangibile di stagflazione; infatti, l'imposizione di dazi sui beni d'importazione potrebbe esacerbare l'inflazione, onerando i costi dei componenti e dei prodotti finiti d'oltreconfine, al contempo inasprendo la disoccupazione, poiché le imprese potrebbero essere indotte a comprimere la forza lavoro in risposta all'incremento dei costi operativi.
La Federal Reserve opera sotto un duplice mandato di preservazione della stabilità dei prezzi e promozione della massima occupazione; paradigmaticamente, l'incremento dell'inflazione induce la Fed a rialzare i tassi d'interesse per contrarre la propensione al credito e alla spesa, smorzando così le pressioni inflazionistiche, mentre un'escalation dei licenziamenti ne determina la riduzione al fine di incentivare l'erogazione e la crescita economica.
Agli albori dell'anno in corso, l'orientamento prevalente tra analisti finanziari e investitori istituzionali propendeva per una previsione di due o tre riduzioni del tasso di riferimento da parte della Federal Reserve, congetturando un persistente declino del parossismo inflattivo post-pandemico. Un cospicuo novero di economisti perorava, altresì, l'opportunità di un preemptive cut da parte della Fed, in considerazione di una prospettata flessione congiunturale e di un deterioramento del quadro occupazionale, esacerbati dalle misure tariffarie. Nondimeno, il Presidente Powell ha ribadito con fermezza l'imperativo di una postura attendista, argomentando che l'attuale resilienza del tessuto economico giustifica un approccio di "wait and see" da parte dell'istituzione monetaria.
Diversi mesi or sono, una miriade di analisti postulava altresì un "atterraggio morbido" per l'economia, prospettando un rientro dell'inflazione al target del 2% in un quadro di piena occupazione e crescita robusta.
Ciononostante, mercoledì, Powell ha postulato che siffatta congiuntura appaia meno verosimile.
"Se effettivamente si configurassero quei livelli tariffari...", ha affermato Powell, "... allora non assisteremmo a ulteriori avanzamenti verso i nostri obiettivi. Almeno per il prossimo, per così dire, lustro, non si concreterebbero progressi in quella traiettoria -- ancora una volta, qualora le tariffe si materializzassero in quella guisa."
Powell ha altresì asserito che la successiva manovra della Fed sarà parzialmente subordinata alla variabile che manifesterà un deterioramento più marcato: l'inflazione o la disoccupazione.
"A seconda dell'evoluzione contingente del quadro macroeconomico, si potrebbe contemplare una decurtazione dei tassi d'interesse ovvero il loro stazionamento ai livelli attuali; è pertanto imperativo monitorare lo sviluppo delle dinamiche sottostanti prima di deliberare in merito", ha chiosato.
Krishna Guha, analista presso EvercoreISI, ha argomentato che l'attuale valutazione della Fed è suscettibile di dilazionare la tempistica per un taglio dei tassi. "La giustapposizione di una duplice valutazione del rischio e l'asserzione di una economia solida suggeriscono che la Fed, in questa congiuntura, non stia contemplando un taglio a giugno." Numerosi economisti sono inclini a credere che la Fed possa non essere propensa a procedere con un taglio fino a settembre.
Trump ha preannunciato l'introduzione di onerosi dazi doganali a carico di una sessantina di partner commerciali degli Stati Uniti, per poi sospenderne la maggior parte per novanta giorni, a eccezione di quelli imposti sulla merce di provenienza cinese, che l'amministrazione ha sottoposto a una tariffa del 145%; le due parti hanno in programma di tenere questo fine settimana in Svizzera il loro primo confronto ad alto livello dall'innesco della guerra commerciale voluta da Trump.
L'atteggiamento circospetto della banca centrale potrebbe esacerbare le divergenze tra la Federal Reserve e l'amministrazione Trump. Trump, nel corso di un'intervista televisiva domenicale, ha reiterato il suo pressante invito alla Fed a un allentamento della politica monetaria, sebbene abbia sinora desistito dall'escalation delle minacce di destituzione nei confronti di Powell; tuttavia, un'eventuale flessione economica nei mesi a venire potrebbe indurlo a rivedere tale posizione.
In occasione della conferenza stampa, interpellato sull'eventuale incidenza delle istanze trumpiane di ribasso dei tassi sull'operato della Fed, Powell ha perentoriamente asserito: "Assolutamente non inficia il nostro lavoro. Ci atteniamo invariabilmente ed esclusivamente ai dati economici, alle prospettive, all'equilibrio dei rischi, e null'altro."
L'eventuale sforbiciata della Fed sui tassi d'interesse paventa la potenziale ricaduta, seppur non ineluttabile, sul corollario dei costi di finanziamento, quali mutui, finanziamenti automobilistici e scoperti bancari.
Un quesito di considerevole rilievo che il *Federal Reserve System* è chiamato a dirimere concerne l'incidenza dei dazi sull'andamento inflazionistico. La quasi totalità degli addetti ai lavori in ambito economico e degli alti funzionari della Fed preconizzano un rialzo dei prezzi derivante dalle imposizioni tariffarie sulle importazioni, sebbene l'entità e la persistenza di tale impennata rimangano oggetto di dibattito. Le tariffe, nella maggior parte dei casi, tendono a generare un incremento dei prezzi di natura puntuale, piuttosto che un'inflazione persistente.
Attualmente, il tessuto economico statunitense appare sostanzialmente florido, corroborato da un'inflazione che ha registrato un significativo arretramento dal suo apogeo del 2022. La dinamica dei consumi permane vibrante, sebbene sia plausibile che tale effervescenza sia parzialmente ascrivibile a un anticipato accaparramento di beni voluttuari, quali autoveicoli, in previsione di futuri gravami tariffari. Parallelamente, il mercato del lavoro manifesta una solida inerzia, con le imprese che perpetuano un regime di assunzioni sostenuto e un tasso di disoccupazione che si mantiene su livelli estremamente contenuti.
Nondimeno, segnali inequivocabili lasciano presagire un potenziale inasprimento dell'inflazione nel corso dei mesi a venire, corroborati da indagini congiunturali sia nel comparto manifatturiero che in quello dei servizi, le quali evidenziano un'escalation dei rincari imputati dai fornitori; in aggiunta, un'indagine condotta dalla Federal Reserve di Dallas ha rilevato che quasi il 55% delle imprese manifatturiere è incline a traslare l'incidenza degli incrementi tariffari sulla propria clientela.
May 9th, 2025
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