In un clima politico incandescente, la Corea del Sud si appresta a eleggere il suo nuovo Presidente attraverso un'elezione suppletiva innescata dalla destituzione traumatica di Yoon Suk Yeol, il cui fugace tentativo di instaurare la legge marziale ha deflagrato in un procedimento giudiziario per sedizione; il candidato progressista Lee Jae-myung, forte di un'abile capitalizzazione del diffuso malcontento popolare verso l'establishment conservatore, si profila come il più probabile successore. Immerso in una frattura ideologica profonda che rischia di paralizzarne l'azione di governo, il futuro leader assumerà immediatamente le redini del potere per un quinquennio, gravato da sfide sistemiche quali la stagnazione economica, le incognite derivanti dal ritorno di una politica estera statunitense improntata all'"America First" e l'incombente minaccia nucleare nordcoreana; sebbene i sondaggi pre-elettorali indichino una vittoria schiacciante di Lee, noto per la sua retorica corrosiva contro le élite conservatrici e per la rivendicazione di una politica estera assertiva, detrattori influenti ne stigmatizzano il profilo populista e la presunta inaffidabilità programmatica.